venerdì 27 aprile 2012

"Si lo trov'j a n'at..."



E prima o poi capita a tutti.
Non di essere traditi, ma di "schiattà n'guorp" [in italiano non rende] per gelosia.
Anche se è stupida.
Anche se, in realtà, è paura di perdere qualcuno.
Anche se, forse, sono solo dolci paranoie.
Anche se, un po', inizi a non farcela più.
Ma finchè ne vale davvero la pena, sai che va tutto bene.
In un modo o nell'altro.



mercoledì 18 aprile 2012

Sun & Baby

Le persone conosciute sin'ora sono tante. Alcune erano un tuffo a cielo aperto. Altre solo un graffio nello stomaco. Qualcuno è rimasto. Qualcuno se n'è andato. Qualcuno è reale. Qualcuno è virtuale.
No! Io non riesco e non voglio fare distinzioni tra la vita reale e quella virtuale. Oppure posso, ma solo per poche persone. Per la maggior parte no. Dall'altra parte di questo schermo ci sono respiri, corpi che vivono. Dietro questo schermo, ci sono fibre di carne intrecciate ad ossa e collegate a sinapsi. Dietro questo schermo, ci sono persone. E sono reali.
Comunque, dicevo. Ne ho conosciute un po' di persone virtualmente. Per lo più, sul caro buon vecchio splinder [pace all'anima sua!]. Qualcuno qui, di recente. Qualcuno altrove. E ora, non me ne vogliano gli altri, ma c'è una persona in particolare per cui vale la pena scrivere questo post.

Ho conosciuto Sun due anni fa. Il legame è stato istantaneo, forse perchè entrambi non avevamo un passato sereno. E' bastato il respiro di qualche parola a renderci fratelli. Ed è questa fratellanza che ci permette di fidarci completamente e condividere tutto. No, non ci siamo mai incontrati. Troppa distanza. Ma l'intenzione c'è.
Sun è diventato mio fratello maggiore, ormai. Quando piango, mi abbraccia. Quando sono annoiata, mi fa ridere. Quando sono nervosa, fa in modo che mi sfoghi. Quando sono innamorata, mi dice di andarci piano. Quando non ci sentiamo per tanto tempo, manchiamo l'uno all'altra e lui si preoccupa per me. Quando non ho voglia di fare nulla, mi invita a studiare. E quando faccio cazzate enormi, mi rimprovera sul serio. Tolte le volte in cui le cazzate si fanno insieme. Infine, quando vado a letto, mi rimbocca le coperte e mi da un bacio sulla fronte. E se non riesco a dormire oppure ho gli incubi [spesso, ultimamente], resta con me.
Sun ha una voce che mette allegria anche se ne hai appena passate di tutti i colori e sei sotto un temporale senza ombrello. Sun ha una voce che fa tenerezza, quando è appena sveglio. Sun senza barba è inguardabile [non farla mai più!], soprattutto se ha anche i capelli corti. Sun, ha la dolcezza di un bambino nella carezza di un uomo.
Se mi dovessero dire "Domani morirai, ma se vuoi lui può salvarti", accetterei ad occhi chiusi. A parte i miei genitori e Lui, è l'unico a cui in questo momento affiderei la mia vita. E se dovessero raccomandarmi "Attenta, però, domani sarà ubriaco perso", potrei solo sorridere, fare spallucce e considerare che mi fido ciecamente. Ma d'altronde lui lo sa, che mi ha salvata già un paio di volte.
La prima volta è successo poco dopo che ci siamo conosciuti. Non potrò mai dimenticarlo. Riporto testualmente.


"Ogni volta che ti senti persa, ascolta questa e mi troverai accanto a te in quel bosco."

Grazie, di esserci sempre.
Ti voglio bene, fratellone.
Un abbraccio, di quelli che fanno sorridere mentre ti stritolano le ossa.

martedì 10 aprile 2012

E' stato un incubo reale, a cambiarmi la vita

Era una domenica come tante altre. Una domenica che trascinava il peso delle ore piccole della sera prima. Una domenica tra lo stordimento e il sonno. Una domenica d'ottobre, con i raggi autonnali a scaldarmi un po' la pelle e il vento freddo ad accarezzarmi le guance. Eppure ero in piedi alle 10 esatte. Ti avevo promesso che sarei stata puntuale. Come sempre. Sono una donna d'onore, io. Le promesse sono sacre per me. Non sopporto di non mantenerle. Salvo cause di forza maggiore.
Per te, il discorso era di gran lunga diverso. Non mi sarei persa quel tuo sorriso dolce, da bambino, per nulla al mondo. E allora, eccomi lì. In cucina a fare colazione. Aspettando te. Non ero molto presentabile, a dire il vero. Ma a te non sarebbe importato. No, tu non avresti badato al fatto che ero in pigiama, avvolta nella vestaglia. Non ti saresti soffermato sulle occhiaie da sonno e sui miei capelli corti scompigliati. No, a te tutto questo non importava.
Pensavo a questo mentre facevo colazione, e a molto altro. E intanto ero lì, nella mia cucina, mentre ti guardavo e sorridevo. Stupida e incantata. Stronzo, mi tenevi inchiodata lì con quei tuoi occhi castani e quei ricci ribelli dello stesso colore del grano. Era impossibile non volerti bene. Eri un ragazzo semplice, alla mano. Consideravi chiunque parlasse con te, anche solo un minuto, tuo amico. Dolce e ingenuo, di quell'ingenuità genuina che mette tenerezza e ti scioglie il cuore.

Ero persa in questi pensieri quando è successo e ho sentito mio padre urlare. Sono rimasta paralizzata. Provavo a muovermi, a dire qualcosa. A chiamare mia madre per dirle cos'era successo. Nulla. E' stata lei a venire da me:
- Papà ha detto che c'è stato un brutto incidente...
Non aveva notato che anch'io avevo la tv accesa. Ha guardato le immagini. Non ci credeva. Come tutti noi, del resto. E' tornata alle sue attività. Io sono rimasta lì. Immobile.
Ricordo tutto di quella maledetta domenica. Di non aver finito la colazione perchè mi si era chiuso lo stomaco (non avrei quasi toccato cibo a pranzo poi, per lo stesso motivo). Di agitarmi per casa, correndo da una tv all'altra - ne abbiamo tre in tutto, una delle quali in camera mia - perchè a volte saltava il segnale. Di non aver combinato nulla in mattinata e ben poco nel pomeriggio, nonostante l'avvicinarsi di una prova intercorso.
Sono semplicemente rimasta lì, aspettando che ti riprendessi, che dicessero che stavi bene o che inquadrassero il tuo sorriso. Ma non è accaduto niente di tutto questo.
Qualcuno l'aveva capito subito. Altri quando hanno sospeso la gara. Tuo padre l'aveva capito quando, per aiutare i soccorsi, ti ha sfiorato la mano per metterti sulla barella e poi in ambulanza. "L'ho capito quando gli ho preso la mano. Era fredda. Ho capito che non c'era più niente da fare. Allora gliel'ho detto lì: Ciao, Marco."
E poi, l'annuncio ufficiale di Paolo Beltramo quasi un'ora dopo: "Purtroppo sono usciti Berganello e papà Paolo e hanno detto "E' finita". Purtroppo Marco Simoncelli è morto."
Non capivo. Non volevo capire. Sono corsa da mio padre, ero sconvolta. Non riuscivo a parlare, singhiozzavo e basta. Gli ho fatto segno di no con la testa. Non stava seguendo più la diretta. Mi ha abbracciata e si è commosso anche lui.
Quando mi sono calmata, diverse cose hanno iniziato a frullarmi in testa veloci. Ho pensato prima alla maledetta tecnologia, perchè una moto non modificata non avrebbe mai seguito quella traiettoria...ma la tua si, una moto che va in automatico con la ruota posteriore che gira sempre, si, ti ritira in pista. Se non avessi sorpassato, se mentre sorpassavi non fosse passato nessuno e  fossi scivolato semplicemente. No, doveva succedere. Poi ho pensato a Kate, dovevate andare a vivere insieme di lì a breve. Non posso ancora capire il dolore di un genitore, ma quello di una fidanzata si. L'ho abbracciata forte col pensiero. E poi è arrivata la rabbia, rabbia perchè ad ucciderti è stata la moto di Vale. Non eravate solo amici, eravate fratelli. La morte è più ironica della vita e della sorte. Vale piangeva, mentre ancora non si sapeva nulla. Si, anche altri motociclisti erano scossi e con gli occhi velati. Ma lui stava perdendo un fratello. E, alla fine, il tuo team. In lacrime e distrutti anche loro. Alcuni si sono abbracciati, qualcuno è andato da Kate. Ma una foto in particolare mi ha toccata [questa]: due persone così vicine, ma racchiuse ognuna nel proprio dolore. E vogliamo parlare di Dovizioso e Pedrosa? Ti odiavano per i tuoi sorpassi spericolati, che capitavano quasi sempre a loro. Ma sono stati tra i primi a scoppiare in lacrime, ad abbracciare papà Simoncelli...ai funerali poi, Andrea si è beccato anche un suo schiaffetto affettuoso sulla guancia, come a dire "Quanto me lo hai fatto penare...".
I funerali, già. Visti anche quelli. Ti hanno portato i tuoi tesori, hai visto? La moto con cui hai vinto la 125 e la "maledetta". Alla fine hanno messo la tua canzone preferita, quella di Vasco. E c'erano i ragazzini delle mini-moto, con le loro tute e i loro caschi, seduti attorno a te. Anche tuo padre si è seduto a gambe incrociate insieme a loro, con tua sorella tra le braccia. E tu sorridevi, nel guardarli.
E chiunque abbia scritto quello striscione, aveva ragione. Se fossi stato lì, avresti detto: "Dio bo', raga, quanti siete?".



Questa domenica non ho avuto il coraggio di guardarlo, il Moto GP. Ho acceso la tv, sperando che fosse stato un incubo e che ora, svegliandomi, ti avrei trovato ancora lì. Ma non c'eri, e ho cambiato canale. Non è la stessa cosa senza di te. Non ce la faccio ancora. Avrei voluto fare come la fine di questo video, sai? Riavvolgere tutto e riaverti. Ma tanto lo so, che ci sarai sempre.

"Meglio 5 minuti in moto che una vita sprecata."
Resti Il Campione, per me.
Ti voglio bene, Marco.
Ciao, SuperSic.

giovedì 5 aprile 2012

La chitarra invisibile

Il fragore di adesso era il suono delle scorie che viaggiavano nei tubi verso un buco nero, era la menzogna contenuta nelle capsule rosse, era la menzogna avvolta in discorsi e promesse. Si domandò dove fossero sua moglie e sua figlia, le persone che amava non erano mai con lui quando ne aveva bisogno e lui aveva sempre bisogno delle persone che amava. [...]. Lui era solo uno dei tanti da spremere, da prendere per idiota, e forse lo era davvero, sì, un idiota, un idiota stanco. [...]. La droga e il successo erano detonatori, l'amore un complice e poi c'era quell'altra cosa, il motivo per cui i delfini si schiantano sugli scogli e i corvi fanno l'amore un'unica volta nella vita.
[...]
Ricordò le parole di quel ragazzo in quell'inverno lontano: Ti brucerai il cervello se non vedi il limite e non ti fermi in tempo. Hai lo sguardo di Jimi, è la cosa peggiore che poteva capitarti. [...]
I volti di Janis, Jim e Jimi gli attraversarono il cervello, sullo sfondo continuava a udire la voce del ragazzo, capì il senso ultimo delle sue parole, le sentì nelle ossa, nella rabbia. [...]. Mise da parte l'arma e imbracciò la chitarra invisibile. Le sue dita si mossero nell'aria tranquilla della sala ma non riuscì a trarre dalla chitarra un solo accordo di silenzio, erano trascorsi molti anni dall'ultima volta e non ricordava la tecnica. Provò ancora, e poi ancora, inutilmente, era troppo tardi anche per quello, aveva valicato il limite senza vederlo e non poteva più fare marcia indietro. Per quanto aguzzasse le orecchie non sarebbe riuscito a udire la chitarra invisibile, semplicemente aveva smesso di suonare, non era un problema di udito, era qualcosa di più letale, come avere un cuore di pietra. Posò la chitarra e raccolse l'arma, era fredda e reale come lui.


Kurt non era solo musica e scandali, per me rappresentava qualcos'altro, qualcosa di personale, un'alternativa di vita che era fallita. La sua esasperante corsa verso la morte è finita come tutti si aspettavano e questo mi fa star male. So cosa provava, si, anche vivendo in questa città di merda piena di molluschi lo sapevo, l'ho sempre saputo perché anch'io soffro della stessa malattia. Non è solo disgusto per la brava gente negli uffici e negli stadi, è l'addio dell'Uomo, è l'avventura umana che come un titanic affonda nel denso oceano dell'incertezza.
[...]
Che altro possiamo fare? Forse spararci un colpo. Non è detto che non lo facciamo.

"Star lì senza emozione, seguendo la corrente con la lingua di uno sciocco esperto, mi fa sentire terribilmente in colpa perchè il peggior delitto è fingere. [...]. Sono una persona troppo nevrotica e lunatica, non ho più entusiasmi quindi ricordate che è meglio andarsene con una fiammata che spegnersi lentamente."
[Tratto da E.M. Reyes - C'era una volta l'amore ma ho dovuto ammazzarlo]