venerdì 24 febbraio 2012

La volpe e la bambina


Mi hai sempre chiamata bambina. "Perchè sei piccola", dicevi tra la dolcezza e la malizia. Sorridevo. Ed ogni sorriso era un modo per lasciarti entrare. Se ero io ad avvicinarmi quanto basta per leggerti gli occhi, ti allontanavi. E' stato allora che ho iniziato a chiamarti volpe. "Perchè sei curioso e diffidente", dicevo divertita. In ogni caso scivolarci dentro è stato facile. Respiravo le tue parole e le tue attenzioni. Sfioravo la tua voce tra lenzuola immaginarie. Indossavo la tua camicia bianca e ti aspettavo. Ancora adesso eviti di svegliarmi, ti limiti a lasciarmi un bacio e a stringermi.
Ripenso spesso a quella camicia. Sento il tessuto fresco sulla pelle e il tuo odore che mi riscalda. E adesso ne ho bisogno, sai? Ho bisogno di sentirmi piccola nella tua camicia grande. Ho bisogno di stringermi nei suoi polsi e stropicciarne il collo. Ho bisogno di ambra sulla pelle e tra le vene. Ho bisogno di lasciarla aperta per poter sentire la tua pelle quando mi abbracci. Ho bisogno di inumidirla con le lacrime di giorni fragili. E restituirtela così, bagnata e ammorbidita dai miei sussulti e dalle mie insicurezze.

"Ti amo solo se.. mi ami tu
Ti amo solo se.. mi ami tu
anche se ho giurato di
non dirtelo mai più

Io credo che.. ho solo un po' bisogno di te
e il resto non è importante
credo che.. ho solo un po' bisogno di te
e il resto non è importante
credo che.. ho solo un po' bisogno di te
credo che.. ho solo un po' bisogno di te "
[Le strisce - L'amore]

sabato 18 febbraio 2012

La perfezione di Depre

Lascio qualche istante il corpo sulla sedia, davanti alla scrivania. E mi do un'occhiata da fuori.
Vago per le stanze di casa mia, respirandone la polvere. Osservo le foto in bilico sulle mensole. I sorrisi sono sinceri.
Esco. Mi guardo attraversare distrattamente la strada. Prima o poi mi investiranno, ma non m'importa. Ho gli occhi troppo vuoti e stanchi per preoccuparmi delle bestemmie che mi lanciano gli autisti. Ho le cuffie dell'mp3 troppo dentro al cervello per sentirli.
Le mani le nascondo in tasca e lo sguardo nel nulla davanti a me, evitando di fissare inutilmente l'asfalto. L'atteggiamento fiero della mia testa alta cela l'assenza che mi trascino dietro invece dell'ombra. Sento la pesantezza dei miei passi e l'affanno dei miei respiri.
Torno a casa. Mi spoglio, faccio la doccia. E sento le lacrime di sangue scorrermi sul viso e sul corpo. Resto chiusa in bagno per tutto il tempo che serve. Lì dentro posso liberarmi di tutto, perfino di me. Fuori di lì, sono ancora più vuota.
Ho paura della sera, della notte e degli incubi. Ho paura della mia solitudine. Ho paura di me. E nessuno se ne accorge.
Mio padre non mi parla da due mesi e più, perchè dovrebbe accorgersi che sto male? Mia madre mi ama, lo so, ma neanche lei se ne rende conto. I pochi amici che ho non possono vedere. Fanno parte di me da troppo poco, per conoscere le mie ombre. Al tipo che frequento maschero tutto, lasciandolo perso nell'illusione che sto bene [e che sono sua, ma questo non c'entra]. Solo Lui si è accorto che qualcosa non va e mi strappa un sorriso anche per questo. Ma ci sono cose che neanche a Lui sono pronta a dire. Lo farò, ma non adesso.
E allora ritorno a me, ad osservarmi alla scrivania. Afferro un piccolo barattolo invisibile. Contiene delle pillole dalla forma ellittica. Ne butto giù due. E tra qualche ora ne prenderò altre due. Poi tra qualche mese non basteranno, allora inizierò a prenderne otto al giorno. E così via. Fino a buttar giù l'intera confezione.
Immagino la scena. L'ambulanza, le lacrime dei miei, la corsa in ospedale. Ma è tardi, a metà strada tornano indietro. Causa del decesso: overdose di psicofarmaci. No, dovreste dire: "Causa del decesso: la sua solitudine".
Mi metto una mano sulla spalla, per farmi coraggio. Torno nel mio corpo.
Piango e mi libero di tutto. Piango ed ho paura. Piango e non sono io. Piango e sono già io.
Piango.

Lascio qualche istante il mio corpo sulla sedia, davanti alla scrivania. E un cartello con scritto "Torno presto". Ma non credetemi.


domenica 12 febbraio 2012

Londra

Londra.
Londra è il profumo di una sigaretta spenta che aleggia ancora nell'aria, impregnandoti i vestiti. Londra è la nebbia dei tuoi pensieri all'ombra di un sole debole. Londra è la pioggia grigia nelle tue tasche vuote e disilluse. Londra è un tramonto avvolto dall'innocenza di una torre stanca di stare in piedi. Londra è la perfezione della National Gallery quando non sai dove andare. Londra è una puttana illuminata dai pub e dai turisti. Londra è un caffè lungo che non sa di niente, ma ti riscalda. Londra è un abbraccio all'alba di un mattino fragile, sotto un cielo calmo. Londra è il ricordo di domande inesistenti su un prato di problemi. Londra è uno scoiattolo che si lascia fotografare prima di andare via. Londra è il silenzio dolce del British Museum quando sta per chiudere. Londra è una serie di strade in penombra che trasudano misteri e segreti. Londra è una felpa dell'Hard Rock Cafè che continui ad indossare nei giorni freddi. Londra è il suono della chitarra di un vagabondo in metropolitana.
Chissà com'eri, Londra, negli anni '80. Chissà com'eri, Londra, quando Peter Murphy descriveva il funerale vampiresco di Bela Lugosi, mentre sussurrava piano, tra una strofa e l'altra, "Undead, undead, undead". Chissà com'eri, Londra, quando quello scheletro bianco e spigoloso si agitava sul palco, inquietandoti con la sua voce. Chissà com'eri, Londra, quella sera del 24 febbraio del 1982.


domenica 5 febbraio 2012

Pelle di cenere


Stringo la polvere tra le dita. Diventa cenere di pensieri su una pelle di porcellana e sangue. Accarezza i miei peccati con onde di schiuma e perchè immacolati. Mi avvicino alla riva dei desideri e dei bisogni. Piano. Per assaporarne la differenza e non svegliare la volontà. Ascolto il sussurro dolce del tuo fuoco tra i miei ricordi presenti. Mi sorprendo a contorcermi con le tue fiamme che indagano la mia anima, senza bruciarla. Le tue mani. Sulle mie. Su di me. La consapevolezza di essere la tua bimba e la tua puttana. La sensazione di rinascere dalla cenere, ogni volta che annego tra le lenzuola delle nostre voglie. Mi lascio invadere da quell'odore di ambra che mi è tanto familiare. E intanto le tue dita lasciano piccoli segni indelebili sulla mia pelle di vaniglia. La tua lingua è acqua fresca che rigenera. Mi perdo nella chimica di attimi perfetti che ci unisce. Libero i sogni dalle loro gabbie dorate. Non servono tra le tue braccia. Le mie mani distruggono le paure tra i tuoi capelli. Le labbra sussurrano piano segreti inconfessabili che tremano per te. Adoro il modo che hai di bruciarmi. Sulla pelle e sottopelle. E se è il fuoco la magia che dai, che mi avvolgano pure le fiamme! Rinascerò dalla cenere per le tue braccia d'avorio e ambra. Per sfamarci ancora.