lunedì 12 marzo 2012

Sei diventato complice

Poi l'incontro di due bugie.
"Mamma, io vado a Santa Severa con i miei compagni di classe" e prendere il treno per Roma.
"Mamma, io vado a Roma, che la Sapienza organizza dei corsi di preparazione per i test d'ingresso di Medicina" perchè lui vuole fare Medicina, ci ha preso gusto a curarmi...ma la preparazione ai test, dov'è che la fanno?
Abbiamo passato l'estate così, sotto lo stesso tetto, il suo.
Sapeva di buono quella quotidianità.
Fare la spesa in due, che è difficile perchè il carrello prende direzioni diverse, perchè lui vuole mangiare le porcherie e tu vuoi solo un po' di insalata. Togli, rimetti, togli, rimetti. Una guerra fare la spesa.
[...]
Poi i sospetti di mia madre.
"Alice ti stai abbronzando"
"Eh, qui il tempo non è proprio il massimo..." come se il tempo stesse alle mie dipendenze e non esistesse il meteo. Non c'è mai stata un'estate così pallida.
[G. Carcasi - Ma le stelle quante sono]

Ho lasciato scivolare due gocce su questa pagina.
Non sono riuscita a trattenerle.
Mi manca quella settimana.
Mi manca il Nostro agosto.
Mi manca casa tua.
"Un giorno ti mostrerò la mia Roma.", mi hai scritto più di un anno fa. E ad agosto io ho visto la tua Roma, ma ho vissuto la Nostra Roma.
Una Roma fatta di giri in moto e birre pomeridiane. Una Roma che guardava cartoni animati e ascoltava musica, con noi. Una Roma calda e rinfrescata da mille docce fredde. Una Roma di tacchi a spillo che non riescono a stare in equilibrio sui sanpietrini. Una Roma che per noi si svegliava di sera e andava a dormire in mattinata. Una Roma nella follia del Pub. Una Roma con un Colosseo a metà tra l'alba e la notte. Una Roma di sospiri uniti e corpi intrecciati, i nostri. Una Roma racchiusa nell'Hard Rock Cafè. Una Roma tra spese e cambio del biglietto, per restare un giorno in più. Una Roma con la tua maglietta addosso. Una Roma che custodiva le mie telefonate per non essere scoperta. Una Roma di semafori rossi all'andata e verdi al ritorno. Una Roma che sapeva di noi e odorava di te.

Una Roma che senza di te, di noi, è solo una città caotica.

16 commenti:

  1. Hai potuto viverla, riempirla di te, di voi. Il paradiso stesso è il peggiore degli inferni se separa e si può bruciare all'inferno e sentirsi a casa, se stretti in un abbraccio.
    Mi ha commossa particolarmente questo post per un motivo preciso e forse anche perchè hai reso fin troppo bene l'idea.
    Sotto gli spigoli e la corazza c'è tanto tenero.
    ~Ti abbraccio~
    Biancaneve Suicida

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Lui è la mia casa, in qualche modo. C'è un senso di appartenenza e complicità tra noi. E gli abbracci di agosto sono gli stessi anche adesso, nonostante tutto.
      Tu hai spigoli e corazza? Dove? :)
      Ti stringo forte.
      Un bacio

      Elimina
    2. Uh, ci sono ci sono...sono in molti, sai, a fermarsi a quella...
      Bacio, B. S.

      Elimina
    3. Fortunatamente confondermi nella moltitudine è una caratteristica che non mi appartiene ;).
      Un bacio.

      Elimina
  2. Beh, Roma è la città eterna. La città eternamente caotica. Quella che non può star chiusa in un Hard Rock Cafè in cui non può riconoscersi ma che invece si trova benissimo nel tuo ricordo, che ad agosto diventa meravigliosa e che ti invita a tornarci.
    Ah, in caso, fammi un fischio.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Roma è sempre meravigliosa. E mi dispiace essermela persa con la neve. Ma ad agosto si, è stata ancora più fantastica del solito. Parlando anche personalmente.

      Sto prendendo atto che la metà (se non più) dei blogger che leggo/conosco sono di Roma o vi hanno a che fare. E, a volte, lo trovo inquietante.

      Elimina
  3. Che dolcezza. Le città vissute in due cambiano tanto. A me purtroppo non è mai capitato. Vorrei viaggiare.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Si viaggia in tanti modi. Con i libri e i pensieri. Con i film. Con persone nuove e persone straniere. E poi si, fisicamente.
      Ma in ogni caso è sempre bello vaggiare :).

      Elimina
  4. Le impalcature sul cuore che avevi promesso, che avremmo messo, che non ho mai tolto, che non l’ho mai fatto.
    Il nodo sul pelo dell’acqua, l’onda che infrange, s’infrange, e si lascia correre, ululare, e il vento, quello che spira sempre troppo lento.
    Le coordinate che affollano le mie mani, il legame che hai strappato nel candore d’una giornata che camminava scalza. Le difese che stavano a dormire, il mio perdono che sarebbe arrivato, e che comunque arriverà, se solo ci fosse preghiera.


    Le impalpabili palpitazioni, quel respiro sommesso, dimesso cuore. Stolto.
    Vento ch'è sospiro, il nodo non sa sciogliere.
    Vento che scorre, urta, chiede scusa e scappa, strappa e non rattoppa, scivola ed insulta.
    S'arrischiarono le mie mani a correre sull'acqua, a camminare sul filo.
    Si tuffarono per sfare quel nodo e (r)accogliere le tue.
    Così l'ardore è annegato, si è spento nel pallore d'un tramonto macchiato di nero.


    Scoperta la tumefazione delle tue parole, ingaggio lampi, mastico carta, e sono fuochi d’inchiostro in cielo.
    E chi li guarderà, eccetto i miei occhi. Starai in un tuo disegno, nascosta, a tenerli fuori, a tenermi fuori.
    Metto in asta il tempo, dimentico le fermate, le offerte e gli sconti sulle vetrine del tuo affetto, calpesto le bianche regole fino al primo tram che non porta il tuo nome. Che mi porterò in tasca, in salita, che calpesterò sulle facce sudate dei pendolari, e sul lascivo spostarsi, di chi sa come si sposta un’emozione.
    E. La lingua che incespica, il clacson che s’imbeve di cacao bollente. Le gambe storte sanno correre veloci, ma la mia giustizia non sarà un tribunale. E non si muove quanto il tuo coraggio.


    (Ri)scoperto il vigore delle mie parole, assaggio il fuoco, mastico sangue, e plasmo catene in cui avvolgerti.
    E quando lo scoprirai, d'esserne (av)vinto. Sarò lontano, distante, ansante, pressante.
    Sarò fuggitivo, già fuggito, spostato e spossato.
    Incespico, calpesto tegole instabili, inghiotto vertigini, bevo terrore, smuovo dolore. Bollente. Assente.
    Avviluppata in una coperta pesante, ora corro, inciampo, soccorro il cuore - rotolato a terra - ormai senza scampo, un balzo e mi rialzo, ed acciuffo quel tram(busto) che mi porta lontano.
    Busto eretto, capo chino, sguardo fiero.
    Inchiostro ancora fresco ricopre il pugnale, stretto tra dita ancora candide.


    Le reminiscenze mi scoprono le gambe, tremo in un angolo superbo, e le palpebre occupano posti lontani.
    Inseguo la femminilità scaraventata sul ciglio di imbarazzi svuotati, mi siedo in questa digressione, e disegno un tavolo, e disegno parole, con la bocca tua.
    La manovra è complicata, anche se volessi tornare indietro, anche se potessi tornare indietro, non mi porterebbe a te.
    E chiedimi quanta forza portano in grembo le mie parole, chiedimi perché abbasserò lo sguardo, quando tu andrai via.


    Le remissive carezze mi rotolano sulle braccia, cola superbia giù per la gola scartavetrata, e scrivo frammenti di vetro, e scrivo dipinti, con la mano tua.
    Tremano le gambe, stanche. Tremano le palpebre, affrante.
    Tremano le mani e tracciano sentieri di filo spinato; s'intrecciano le dita, la corsa è finita.

    Busto eretto, capo chino, sguardo disperso tra affollati incroci e sinuosi pensieri.
    E chiedimi se saprò sollevarlo, lo sguardo. Chiedimi se potrò risollevarmi.
    Chiedimi se getterò a terra il pugnale, o lo incastonerò nel petto.
    E tu chiediti se non si perderà infine, il perdono, sciolto nell'onda.


    E chiediti se hai imparato che le ossa non sono spugne, tornano a galla.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. http://www.facebook.com/note.php?note_id=348266411861062
      La nota è stata presa qui. Vorrei solo sapere perchè è stata lasciata nel mio spazio, da chi e come il chi è arrivato qui.
      In ogni caso è bellissima.

      Elimina
  5. Cerco, ancora, e se ti trovo, rabbrividisco.
    Probabilmente non ricorderai nemmeno il mio nome, tu.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. I commenti vanno in moderazione, quindi sussurramelo quel nome. O lasciami un indizio.

      Elimina
    2. Non ho nome...ma in questa notte estremamente fausta permettimi dunque in luogo del più consueto nomignolo Ad accennare al carattere di questa Dramatis Persona...Io sono il frutto di quello che mi è stato fatto. È il principio fondamentale dell'universo: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria...E così ricopro la mia nuda perfidia con antiche espressioni a me estranee rubate ai sacri testi e sembro un santo quando faccio la parte del diavolo...quindi permettimi di aggiungere che è un grande onore per me reincontrarti e che puoi chiamarmi Nahim...

      Elimina
  6. La mia ingenuità appartata, schernita, in fondo a una notte senza cielo, dentro parole dimesse.
    Ho le funzioni distorte,
    le labbra distratte,
    le membra distrutte.
    La tua cadenza lasciva, in fondo a una notte senz'orrore, dentro cornici e pennellate dai sorrisi enormi.
    Hai le gambe fragili,
    le braccia pensili,
    gli abbracci esili.

    Nahīṁ

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sono l'amministratrice di Quello che conta è scrivere, ovvero la pagina a cui hai insensatamente copiato le parole per i tuoi commenti. Nahim, non so tu chi sia, ma sei pregato di commentare con i tuoi pensieri, e non quelli altrui.
      Mi accerterò che tu venga bannato.

      Elimina
    2. Chiara, ti ringrazio. Potevo rivolgermi solo a te ;).

      Elimina

Respiri