martedì 10 aprile 2012

E' stato un incubo reale, a cambiarmi la vita

Era una domenica come tante altre. Una domenica che trascinava il peso delle ore piccole della sera prima. Una domenica tra lo stordimento e il sonno. Una domenica d'ottobre, con i raggi autonnali a scaldarmi un po' la pelle e il vento freddo ad accarezzarmi le guance. Eppure ero in piedi alle 10 esatte. Ti avevo promesso che sarei stata puntuale. Come sempre. Sono una donna d'onore, io. Le promesse sono sacre per me. Non sopporto di non mantenerle. Salvo cause di forza maggiore.
Per te, il discorso era di gran lunga diverso. Non mi sarei persa quel tuo sorriso dolce, da bambino, per nulla al mondo. E allora, eccomi lì. In cucina a fare colazione. Aspettando te. Non ero molto presentabile, a dire il vero. Ma a te non sarebbe importato. No, tu non avresti badato al fatto che ero in pigiama, avvolta nella vestaglia. Non ti saresti soffermato sulle occhiaie da sonno e sui miei capelli corti scompigliati. No, a te tutto questo non importava.
Pensavo a questo mentre facevo colazione, e a molto altro. E intanto ero lì, nella mia cucina, mentre ti guardavo e sorridevo. Stupida e incantata. Stronzo, mi tenevi inchiodata lì con quei tuoi occhi castani e quei ricci ribelli dello stesso colore del grano. Era impossibile non volerti bene. Eri un ragazzo semplice, alla mano. Consideravi chiunque parlasse con te, anche solo un minuto, tuo amico. Dolce e ingenuo, di quell'ingenuità genuina che mette tenerezza e ti scioglie il cuore.

Ero persa in questi pensieri quando è successo e ho sentito mio padre urlare. Sono rimasta paralizzata. Provavo a muovermi, a dire qualcosa. A chiamare mia madre per dirle cos'era successo. Nulla. E' stata lei a venire da me:
- Papà ha detto che c'è stato un brutto incidente...
Non aveva notato che anch'io avevo la tv accesa. Ha guardato le immagini. Non ci credeva. Come tutti noi, del resto. E' tornata alle sue attività. Io sono rimasta lì. Immobile.
Ricordo tutto di quella maledetta domenica. Di non aver finito la colazione perchè mi si era chiuso lo stomaco (non avrei quasi toccato cibo a pranzo poi, per lo stesso motivo). Di agitarmi per casa, correndo da una tv all'altra - ne abbiamo tre in tutto, una delle quali in camera mia - perchè a volte saltava il segnale. Di non aver combinato nulla in mattinata e ben poco nel pomeriggio, nonostante l'avvicinarsi di una prova intercorso.
Sono semplicemente rimasta lì, aspettando che ti riprendessi, che dicessero che stavi bene o che inquadrassero il tuo sorriso. Ma non è accaduto niente di tutto questo.
Qualcuno l'aveva capito subito. Altri quando hanno sospeso la gara. Tuo padre l'aveva capito quando, per aiutare i soccorsi, ti ha sfiorato la mano per metterti sulla barella e poi in ambulanza. "L'ho capito quando gli ho preso la mano. Era fredda. Ho capito che non c'era più niente da fare. Allora gliel'ho detto lì: Ciao, Marco."
E poi, l'annuncio ufficiale di Paolo Beltramo quasi un'ora dopo: "Purtroppo sono usciti Berganello e papà Paolo e hanno detto "E' finita". Purtroppo Marco Simoncelli è morto."
Non capivo. Non volevo capire. Sono corsa da mio padre, ero sconvolta. Non riuscivo a parlare, singhiozzavo e basta. Gli ho fatto segno di no con la testa. Non stava seguendo più la diretta. Mi ha abbracciata e si è commosso anche lui.
Quando mi sono calmata, diverse cose hanno iniziato a frullarmi in testa veloci. Ho pensato prima alla maledetta tecnologia, perchè una moto non modificata non avrebbe mai seguito quella traiettoria...ma la tua si, una moto che va in automatico con la ruota posteriore che gira sempre, si, ti ritira in pista. Se non avessi sorpassato, se mentre sorpassavi non fosse passato nessuno e  fossi scivolato semplicemente. No, doveva succedere. Poi ho pensato a Kate, dovevate andare a vivere insieme di lì a breve. Non posso ancora capire il dolore di un genitore, ma quello di una fidanzata si. L'ho abbracciata forte col pensiero. E poi è arrivata la rabbia, rabbia perchè ad ucciderti è stata la moto di Vale. Non eravate solo amici, eravate fratelli. La morte è più ironica della vita e della sorte. Vale piangeva, mentre ancora non si sapeva nulla. Si, anche altri motociclisti erano scossi e con gli occhi velati. Ma lui stava perdendo un fratello. E, alla fine, il tuo team. In lacrime e distrutti anche loro. Alcuni si sono abbracciati, qualcuno è andato da Kate. Ma una foto in particolare mi ha toccata [questa]: due persone così vicine, ma racchiuse ognuna nel proprio dolore. E vogliamo parlare di Dovizioso e Pedrosa? Ti odiavano per i tuoi sorpassi spericolati, che capitavano quasi sempre a loro. Ma sono stati tra i primi a scoppiare in lacrime, ad abbracciare papà Simoncelli...ai funerali poi, Andrea si è beccato anche un suo schiaffetto affettuoso sulla guancia, come a dire "Quanto me lo hai fatto penare...".
I funerali, già. Visti anche quelli. Ti hanno portato i tuoi tesori, hai visto? La moto con cui hai vinto la 125 e la "maledetta". Alla fine hanno messo la tua canzone preferita, quella di Vasco. E c'erano i ragazzini delle mini-moto, con le loro tute e i loro caschi, seduti attorno a te. Anche tuo padre si è seduto a gambe incrociate insieme a loro, con tua sorella tra le braccia. E tu sorridevi, nel guardarli.
E chiunque abbia scritto quello striscione, aveva ragione. Se fossi stato lì, avresti detto: "Dio bo', raga, quanti siete?".



Questa domenica non ho avuto il coraggio di guardarlo, il Moto GP. Ho acceso la tv, sperando che fosse stato un incubo e che ora, svegliandomi, ti avrei trovato ancora lì. Ma non c'eri, e ho cambiato canale. Non è la stessa cosa senza di te. Non ce la faccio ancora. Avrei voluto fare come la fine di questo video, sai? Riavvolgere tutto e riaverti. Ma tanto lo so, che ci sarai sempre.

"Meglio 5 minuti in moto che una vita sprecata."
Resti Il Campione, per me.
Ti voglio bene, Marco.
Ciao, SuperSic.

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